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Pavimenti RESILIENTI – parte 1 : il PVC

LA FAMIGLIA DEL POLICLORURO DI VINILE

Parlare di pavimenti in PVC può sembrare semplice solo se si considera il problema con ampia superficialità. In realtà le possibili forme e le retrostanti tecnologie sono talmente varie e complesse da ingenerare non poche confusioni, Tenteremo qui un esame non scientifico ma “merceologico”, tale da dare, ci auguriamo, una comprensione panoramica ma soprattutto pratica delle diverse tipologie di pavimenti in PVC oggi presenti sul mercato, spiegandone fase di produzione, caratteristiche tecniche e destinazioni d’uso più indicate.

Che cos’è il Pvc
Innanzi tutto due parole sul PVC o policloruro di vinile. Si tratta del polimero (una macro molecola composta da migliaia di molecole dell’idrocarburo di base) del cloruro di vinile (detto appunto monomero o molecola unica), una sostanza ottenuta per sintesi dalla distillazione del petrolio (46%) e dal cloruro di sodio (sale da cucina – 54% - fonte rinnovabile) che ha caratteristiche termoplastiche, ovvero ad una certa temperatura può essere lavorata per plasmarne (plastica) la forma (per calandratura, compressione, estrusione o iniezione) e che pertanto viene considerata nella grande famiglia delle materie plastiche.

Le caratteristiche
La peculiarità del PVC nell’ambito della famiglia degli idrocarburi polimeri (o poliolefine) quali poliammide, polipropilene, poliestere, polietilene, poliuretano eccetera è quella di offrire stabilità, grande resistenza all’usura e soprattutto grande resilienza, la capacità cioè di riassumere, in un tempo più o meno breve, la propria forma dopo aver subito una compressione deformante.
Si capisce subito che queste caratteristiche, unite ad un costo relativamente più basso, hanno fatto del PVC il materiale principe per le pavimentazioni, benché esso sia stato il terzogenito delle pavimentazioni resilienti, sopravanzato nel tempo di parecchi decenni dal linoleum e poi dalla gomma.
Un punto chiave per comprendere la diversificazione del PVC è l’impossibilità di usarlo puro come pavimento sia per ragioni di stabilità sia per ragioni di costo. La soluzione consiste nell’addizionare il PVC con cariche minerali inerti che consentono di stabilizzarlo dimensionalmente, riducendo al contempo il costo del prodotto (la voce plastificanti che spesso si ritrova si riferisce a componenti chimici che favoriscono la polimerizzazione del PVC e la sua plasmabilità ed il suo legame con le cariche inerti).

La lavorazione
L’amalgama di PVC, cariche minerali, plastificanti, stabilizzanti e coloranti deve, per poter essere usata come pavimento, essere trasformata in lastre, processo che avviene facendo passare il composto tra due o più cilindri surriscaldati che “laminano” il PVC in una lastra continua di spessore costante (pressatura continua), Alternativamente il PVC può essere immesso in granuli o lastre rozze in uno stampo, anch’esso surriscaldato, dove la compressione necessaria a compattare il prodotto finito è fornita in modo statico (pressatura discontinua). Mentre la calandra (i due o più cilindri di prima) forniva tale spessore in modo dinamico cioè in movimento. Ne consegue che dalla calandra esce un prodotto in teli, mentre dallo stampo può uscire solo un prodotto in piastre.
Il pavimento così prodotto è chiamato omogeneo perché in entrambi i casi è composto dello stesso materiale attraverso tutto lo spessore, e, qualora abbia un effetto “disegnato”, tale “disegno” attraversa anch’esso tutto lo spessore.
Per ottenere prodotti “non direzionali” con pressatura continua è stata sviluppata una tecnologia, detta presso-calandratura, che utilizza un impianto base di calandratura con un foglio d’acciaio (un rotolo di ampiezza molto maggiore del diametro della calandra) che viene posizionato sulla parte “diritta” del prodotto in modo da evitare il trascinamento dei frammenti colorati; in tal modo si evidenziano i frammenti di pvc senza stirarli direzionalmente.
Esiste anche la possibilità di ottenere le lastre per estrusione, cioè facendo passare l’amalgama di PVC attraverso una trafila a pressione. Il procedimento di estrusione, ancorchè infrequente (ne esiste un solo impianto per pavimentazioni, in Italia) consente di produrre la lamina superficiale (strato d’usura) simultaneamente alla lamina di supporto (strato di supporto), permettendo di ottenere una mescola molto povera d’inerti in superficie (quindi molto resistente all’abrasione) ed una invece ricca d’inerti come supporto per garantire una elevata stabilità dimensionale. Il processo di coestrusione consente di ottenere non direzionali in quanto non soggetti a trascinamento.

All'interno dell'articolo completo:

Il problema del disegno
Flessibili e non
Il PVC eterogeneo
La tecnologia “in iaid”
I PVC fonoassorbenti
Conclusioni

 


Dott. Roberto Meinardi
Direttore Divisione Contract


r.meinardi@liuni.com
www.liuni.com